PACIFICTION di Albert Serra, non-sense alla fine del mondo

La felicità non ha limiti, dice un personaggio nelle scene iniziali – mi pare il famigerato Ammiraglio. LIMITLESS HAPPINESS, un bel titolo per non so cosa…

Attenzione a non fare l’errore già commesso, in queste settimane di esercizio critico: avvertire delle sensazioni post-visione e poi farle condizionare da quello che leggo online. In questo caso, non mi pare di aver trovato critiche strutturate degne di nota e infatti resto della mia idea, tutto sommato in bilico: mi sembra un filmone ma in definitiva è solo una versione esotica ed arty de La promessa di Durrenmat, una ricerca vana che si protrae per 160 minuti e che per buona parte si rivela godibile, riuscendo nell’intento di trasmettere allo spettatore il ritmo e il trascinarsi indolente dell’esistenza europea in Polinesia, con quella scena straordinaria del surf e delle barche in mezzo ad onde gigantesche.

Constatazione ovvia ma non troppo, laddove – anche in questo caso – giungono critiche a Serra di aver adottato un POV eurocentrico per raccontare questa vicenda. Ovvio, con un protagonista francese di nome De Roller che svolge l’incarico di High Commissioner sull’isola, che gira, briga, parla, media, vuole capire, vuole gestire ma in definitiva non ha altra scelta che adagiarsi al non sense che lo circonda – esiste un sottomarino, un esperimento nucleare, una base fondata oltre i rumors che circolano e valgono più dei fatti? Non lo sapremo mai e forse questa terza parte molto dilatata e a tratti estenuante sarebbe potuta essere salvata da qualche zampata, qualche tinta surrealista, qualche lynchismo che non arriva – più che altro ho trovato un momento simil Disco Boy mamolto più efficace, in discoteca nel finale, ma insufficiente a riempire 60 minuti sfiancanti.

Resta comunque riuscito ed affascinante il ritratto del diplomatico nella piccola comunità alla fine del mondo, distante ma simile a quello splendido sbandato del Console in Sotto il vulcano di Malcolm Lowry.

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