MASTER GARDENER, chiude la trilogia dell’oggi di Paul Schrader

Mica facile approcciare questo film: chiude un trilogia importante (da rivedere First reformed, il primo capitolo – allora folgorante), sembra antico romantico e sostanziale pur mancando in modo evidente nella scrittura meccanica, con buchi palesi, come anche in una messa in scena a volte raffazzonata e poco convincente. Mentre lo vedi senti il sapore di History of Violence, American History X, testi vicini per tema ma lontanissimi per sapore e misura; nel farlo tuttavia toppa clamorosamente, quando non riesce a raccontare il sentimento che nasce tra i due protagonisti. E quest’ultimo aspetto, per un film così nettamente sentimentale, si direbbe un punto a sfavore che marchia senza scampo.

Ma il film ammalia, si porge con la stessa austerità e severa attitudine a parlare del presente americano mostrata negli altri due episodi, focalizzati su Chiesa Americana e gambling, due finestre spietate (forse pure troppo) su un presente ineffabile alle cronache e ai media mainstream. Questo, proprio perché realizzato da un uomo alla soglia degli 80, si direbbe clamoroso. E poi, infine, il film si fa amare nei suoi passaggi stretti: brandelli di dialogo che riescono a fissarsi nella mente, creazione dello spazio in modo inusuale e intelligente (mdp sui sedili posteriori in quasi fish eye a mostrare lo spazio urbano di spaccio e casa di Maya), tensione di una violenza che ci si aspetta scoppi ma forse, ormai, non abbiamo nemmeno più bisogno di subirla…

Chapeau con riserve al Maestro Paul Schrader!

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