FERRARI di Michael Mann, looking for senso e personalità nel cinema di Michael Mann

Basse aspettative, sospetto di operazione commerciale di bassa lega come tutti i film di Ridley Scott degli ultimi – e non credo di esagerare – 30 anni. In piu, mi considero non un detrattore ma uno spettatore indifferente al fascino che Mann pare esercitare tipo guru su tutti quanti. Ok, concordo sulla bellezza di Heat (non rivoluzionaria), benissimo anche Thief o i Mohicani (che andrebbe riscoperto), ma appunto Manhunter rivisto poco tempo fa mi ha deluso molto (a parte la meraviglia di Tom Noonan), e piu in generale Mann presenta una poetica che mi sfugge, uno sguardo di cui non so riconoscere la cifra, le caratteristiche precipue.

Manco dopo aver visto Ferrari, che però devo riconoscere non è il film su Getty o su Gucci, insomma non è una porcata totale.

Se sul fronte della scrittura la linea parallela familiare pare sbiadita e prevedibile, non aggiunge molto al canovaccio arcinoto dell’uomo di potere che tra le mura domestiche sa solo compiere disastri (allora si questa cosa della doppia vita, un po’ alla De Sica Rossellini Ponti, nell’Italia conformista degli anni 50 – come direbbe Moretti – poteva essere valorizzata un pochino), lungo l’asse della linea principale – De Portago e il suo destino, la Mille Miglia, il parallelo con Maserati – il film risulta funzionare ed essere visivamente molto bello, intenso in alcune scelte, anche affine a quell’intensità che di Mann apprezzammo nelle scene heist di Heat.

Colpiscono in particolare un paio di momenti clou, in cui si indugia su primi piani silenti e significanti, un’anomalia di ritmo e piani che suona come il risultato di una ricerca sentita, pause di indagine sul personaggio, i suoi sentimenti, il senso di un’operazione che altrimenti sembra stritolata dalla pianificazione produttiva e di marketing.

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