DON’T WORRY DARLING di Olivia Wilde

Midsommar ai tempi del woke e del nuovo femminismo.

Gigioneggia sontuosa al centro Florence Pugh, sempre magnetica, anche se qui un po’ ripetitiva, funzionava meglio in Another person. Da Ari Aster allo Shyamalan di The village (SPOILER: la protagonista scoprirà di essere all’interno di un sogno/community alternativa/ villaggio turistico) fino a sfiorare Lynch o meglio il modello Matrix – ahah, che ridere le mogli intrappolate dai mariti nel progetto Victory, women empowerment + fanta ricicciamento, alla fine ci sta, as long as it works. Finale irrisolto che parecchio delude, ma certo con Jack morto e la finzione del regno degli uomini svelata a tutte le protagoniste, si intuisce – bene, senza sottolineature. Dove altro si poteva andare a parare? Ce n’è comunque da scrivere, di come la teoria sul gender empowerment abbia bisogno di attingere al mind game/sliding doors movie model per costruire i propri prodotti, che trasmutino i temi del nuovo femminismo. In alcuni passaggi il film risulta più sincero e convincente (Bonnie che ha scelto di finire in Victory dove i figli sono ancora vivi – seppure virtuali), in altri più teorico e irrisolto (l’uccisione di Frank, a dir poco appesa). Quindi cuore, tanto – ecco la femminilità del progetto, uterino – con scompensi vari e poco controllo tutt’intorno. Nell’insieme interessante, anche nelle sue appunto banalità: una su tutte, i fifties di Sirk e Lynch come modello di perfezione esasperata fino al grottesco. Saggio a parte, prossimamente? Mica no.

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