Mektoub Canto Uno, luce morbosa

C’è qualcosa di morboso nello sguardo colmo di affetto e nostalgia che Kechiche rivolge a questi sentimenti giovanili. Quei culi ondeggianti, quel desiderio pronto ad esplodere, quella “luce” che vorrebbe essere motore e verità del film paiono piuttosto il tentativo estremo di restituire un clima perduto, ma con un retrogusto necrofilo decisamente amaro. Solo a tratti, forse viziato dalla copia doppiata in italiano che ho visionato, si rintraccia quel senso di comunità e spontaneità che aveva caratterizzato la mia visione veneziana di Le graine et le mule anni fa, rendendomelo indimenticabile. Che mi aveva spinto a vedere tutti i suoi film precedenti, ad apprezzarne l’originalità, l’obliquità. E che mi aveva (eccessivamente?) portato a rifiutare, categoricamente, La Vita di Adele, trovandolo artificioso nonostante l’intento fosse opposto, provocazione vuota giocata sulla pelle di due grandi attrici.

In Mektoub ricerco ma non trovo, e quindi fatico a crederci, a calarmi in quel mondo, conflitti veri oltre le solite teorie della visione appiccicate sul protagonista, dilemmi interessanti negli spasmi tra corpo e mente, incertezze strutturali di un’età non difficile ma impossibile, che andrebbe forse raccontata con modi più lamentosi, dubbiosi, attraverso qualche allegoria coraggiosa.

 

 

Lascia un commento