Soldado di Stefano Sollima (2018)

Denis Villeneuve, abbiamo capito. Tappeti sonori vigorosi, plongee aeree totalizzanti e confezione roboante. Arrival, Sicario, Blade Runner 2049. Non mi piace e non riesco a farmelo piacere – sono film eccellenti e schiavi di cliché, alla fin fine troppo furbi, che non riescono a nascondere i trucchi del meccanismo. Resto li’ indeciso se farmi accalappiare o rifiutare questa seduzione che sa di impostura. Un mix di feelings provati soprattutto con Enemy, 2013, che salverei giusto per il sempre ottimo Jake Gyllenhall.

Sicario poi lo potrei confondere con altri mille filmoni alla Traffic (che fu uno spartiacque nel genere e ancora ha una sua forza), Soldado del buon Sollima mantiene la linea e non sembra tentare alcuno scarto o personalizzazione evidente rispetto alla formula: due personaggi-rocce come Matt e Alejandro, un ritmo guerrigliero inarrestabile e una politica americana che come di consueto vuole giocare sporco ma senza sporcarsi davvero.

Alla fine te lo vedi, per carità: magari accettando un’inevitabile regressione all’adolescenza utile a soprassedere su passaggi meccanici e per nulla chiari del plot, sull’impossibile verosimiglianza di alcune scene d’azione, su alcune ridicole citazioni (la porta chiusa sul finale in stile Padrino).

Senza averlo ancora visto, c’è da scommettere che nella sfida a stelle e strisce tra i nuovi tentativi migranti (e di genere) di Sollima e Guadagnino questo finisca per vincere a mani basse…

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