L’ultimo imperautore

Ci provo eh, a non sorvolare sulle sbavature, i dettagli gratuiti, i tratti melodrammatici stucchevoli, le sperimentazioni che puzzano di narcisismo. Ci provo ma alla fine passano in secondo piano, perfino il senso di artificio opprimente di molte interpretazioni e luoghi, stanotte, mentre riguardo Ultimo Tango e penso al senso di un’operazione di rottura e provocazione radicale (attaccare con un dolly a scendere sul volto in PP di Brando al contrario che bestemmia urlando) che il 30enne Bertolucci mise in opera una vita fa (45 anni, fa). Soprattutto ripenso e ripercorro, insonne, le pellicole dell’ultimo grande regista italiano che più mi hanno affiancato, che dovrei ricordare meglio perché viste in diretta, al di là di presunti meriti. The dreamers, davvero falso e noioso, sempre rifiutato; Io ballo da sola, insopportabile nel suo costruire un mondo di passioni ridicole (ecco perché Call me by your name mi ha cosi irritato); Sheltering Sky, che pur con le sue evidenti leziosità continuo a difendere, a considerare opera struggente dal finale criptico ed enigmatico, forse oggi che faccio l’expat ancora di più, divertendomi ad immedesimarmi (ma non troppo) nel predestinato Port.

E allora finisco a programmare le prossime notti insonni, giusto per rivisitare i mondi bertolucciani conosciuti poco, forse visti una sola volta e malamente: La luna, la strategia del ragno, l’uomo ridicolo, piccolo Buddha e persino L’Assedio, anche se quell’appartamento accanto alla metro di Spagna lo ricordo bene, un pomeriggio entrai nella porticina che si intravede nel film, mi pare di ricordare, curioso di ritrovarmi in quell’androne vorticoso – peccato che dentro, va da sé, trovai un altro interno e la fine dell’incantesimo.

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