Bradley Cooper, classe 1975, attore che non mi ha mai convinto – per l’insignificanza dei tratti, il modo di recitare come se sta giocando, per lo scarso magnetismo. Un po’ come Ryan Gosling, e con meno simpatia.
Invece questo film mi ha colpito, ed in modo strano: dall’alto, circondandomi e abbracciandomi, senza inseguire svolte e colpi di scena, con una fattura altissima – ovvio – ma non supponente, condivisa da tutti i reparti: recitazione, fotografia, costumi, scene e montaggio.
La storia di Leonard Bernstein e del suo talento – e successo – non brilla per originalità e ricalca quella di altri centomila biopic visti negli anni. Un “maestro” geniale e passionale, padre di famiglia e uomo innamoratissimo della moglie, che una volta entrato nell’Empireo si lascia andare con lussuria e noncuranza alle debolezze controllate durante gli anni di gavetta. Nel suo caso, un’omosessualità che non sembra tanto latente, essendo la cifra del personaggio – esibita, ricalcata, giocosa – sin dalla prima apparizione, che lo pone in conflitto con la consorte ma che viene raccontata senza attivare dinamiche di gelosia e vendetta, che il film decide di gestire in sottotono pur assegnandogli una certa centralità. Lo scavo sull’uomo e la sua parabola, affiancati da una riflessione (a tratti confusa) della psicologia del talento, del successo, dell’identità artistica sono l’ossatura, per fortuna mai ingombrante, che sostiene un plot interessato alla vicenda umana e familiare, prima di tutto.
Si sarebbe potuto fare un film sul personaggio e i suoi eccessi, soprattutto successi, senza elevare il personaggio della moglie a co-protagonista, ma siamo in epoca di wokism e metoo, produce Netflix, quindi il femminile deve per forza di cose prendersi la scena (una battuta, una sola ci dimostra in che tempo viviamo, lei che esclama contrita “Sei un uomo, dopotutto” per non perdere mai occasione di ribadire l’orrore di un mondo soffocato dal patriarcato, in cui la donna non è potuta emergere), il tema della condizione minority ebraica ed omosessuale fa capolino, ma va riconosciuto a Cooper di tenere la barra dritta, un colpo al cerchio e uno alla botte, e alla fine di confezionare un film che tratta il tema del rapporto uomo-donna senza scadere in derive ideologiche o grottesche.
Cooper, per l’appunto, e Carey Mulligan. Siamo dalle parti di un film di interpreti, in cui ogni singola scena è focalizzata sulla recitazione, vuoi per il trucco il tono della voce o il lavoro sullo sguardo e le movenze. Due interpretazioni da fuoriclasse. Ma il film è anche altro: un mondo ricostruito con passo suadente e precisione, in cui è piacevole stare; una rete di dialoghi intelligenti e di dinamiche familiari convincenti (la relazione con Maya Hawke e i dilemmi di LB se confessarle l’oscena verità); soprattutto Maestro – ecco la sorpresa – è un film di regia, che fa scelte intelligenti e coraggiose (il bianco e nero iniziale poi tramutatosi in colore, posizionamenti della MDP mai casuale, giochi movimentati e piacevoli di entrate ed uscite, i campi lunghi e fissi per raccontare i due litigi nella seconda parte, lo splendido piano-sequenza della performance nella Basilica davanti agli occhi emozionati di lei), che sa coniugare l’intrattenimento con la ricerca sui tempi della storia e le pause, il soffermarsi sui piani di ascolto, il negare ad uno sguardo intossicato dai ritmi del campo/controcampo l’alternanza ossequiosa al dialogo.
Saremo stanchi di biopic, lo capisco, sono tanti, come anche gli attori che diventano registi (penso all’altro Bradley, Corbet, un autore ancora più forte e significativo di Cooper), ma vorrei solo stringere su due osservazioni finali. Ad un certo punto ho immaginato questa formula di biopic, intensa e di altissima fattura ma allo stesso tempo scomoda e irriverente verso il mostro sacro di turno, utilizzata per ritrarre un maestro qualsiasi del nostro showbiz, per tentare un “film” e non una fiction televisiva capace di scavare nella storia di un Rossellini un Visconti o un De Sica, facendo emergere i tantissimi lati controversi – non ci sono riuscito; secondo commento: il dilemma con cui ci lascia Maestro, se come dice Manassero su Cineforum non dobbiamo illuderci di avere di fronte un regista vero o se al contrario, come ritiene Sentieri Selvaggi, Bradley Cooper vada considerato come uno dei grandi autori del cinema contemporaneo. Credo siano due pareri estremi, la verità starà nel mezzo, e per decidermi vado a recuperare A star is born, il suo esordio.
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